Petofi, circolo.
Dizionario di storia moderna e contemporanea PETÖFI, CIRCOLO (1956). Associazione di intellettuali ungheresi sorta nella primavera 1956 nell'ambito dell'organizzazione giovanile del Partito comunista. Dopo il ventesimo congresso del Pcus assunse fisionomia culturale autonoma. Osteggiato dal partito, in ottobre assunse il ruolo di motore intellettuale della contestazione che sfociò nella rivoluzione ungherese (23-29 ottobre 1956). (14-24 febbraio 1956). Assise fondamentale del Partito comunista dell'Unione sovietica. Fu il primo congresso dopo la morte di Stalin. Si svolse con otto mesi di anticipo rispetto alla scadenza naturale e vi parteciparono 1.436 delegati e invitati di 55 partiti "comunisti e operai". Dominato dalla figura di N. S. Chruscëv, suoi temi principali furono la nuova politica di coesistenza pacifica e il sesto piano quinquennale, che prevedeva uno sviluppo dei beni di consumo, dell'edilizia abitativa e soprattutto dell'agricoltura. L'importanza storica del XX congresso risiede, tuttavia, nel "rapporto segreto" che Chruscëv tenne l'ultima sera, a porte chiuse, di fronte ai soli delegati sovietici, atto di accusa a Stalin e al "culto della personalità" imposto al partito e al paese. Dopo il ventesimo congresso ebbe inizio in Unione sovietica un processo di destalinizzazione controllata che trovò nuovo slancio all'epoca del XXII congresso, nell'ottobre 1961. RIVOLUZIONE UNGHERESE DEL 1956 Insurrezione nazionale antisovietica avvenuta a Budapest nell'ottobre-novembre 1956. Nella primavera-estate 1956 si fecero sentire in Ungheria gli effetti del XX Congresso del Pcus; destalinizzazione e lotta per il potere in Urss riaprirono la dialettica politica nelle file stesse del Partito comunista ungherese. Il fallimento della politica economica, i salari inadeguati al costo della vita, la diffusa povertà e gli abusi dell'apparato repressivo alimentarono la profonda insoddisfazione delle masse. Il 23 ottobre 1956 a Budapest un largo corteo popolare di solidarietà con la rivolta di Pozna in Polonia degenerò in scontri a fuoco localizzati tra unità della polizia politica e gruppi di dimostranti. La stessa notte gli avvenimenti precipitarono: su pressione degli stessi sovietici, il governo presieduto dagli stalinisti Gerö e Hegedüs venne sciolto. La formazione del governo Nagy non impedì tuttavia che gli scontri armati divenissero guerra aperta, coinvolgendo anche i reparti militari sovietici presenti nel paese. Tra il 23 e il 28 ottobre la rivolta divampò a Budapest e nel resto del paese. Il Partito comunista cessò virtualmente d'esistere in forma coerente e organizzata. Il governo Nagy tentò di svolgere il ruolo di mediatore tra il popolo insorto e l'alleato sovietico. I Consigli operai e contadini sorti nel crogiuolo della lotta formularono proposte dettagliate per un governo di coalizione: la cessazione del fuoco, il ritiro dei sovietici, l'abolizione della polizia segreta, libere elezioni e l'uscita dal patto di Varsavia. Tra il 29 ottobre e il 3 novembre parve che le truppe sovietiche si ritirassero come pattuito nella tregua del 28. Nel frattempo J. Kádár, segretario del partito, dissociatosi in segreto dal governo di Nagy per timore che la politica conciliante verso i vari gruppi d'insorti minasse l'esistenza stessa della repubblica popolare, si appellò all'aiuto sovietico. Quando la crisi internazionale di Suez spostò l'attenzione mondiale sull'Egitto (30-31 ottobre), il Cremlino decise l'intervento. In tre settimane (3-20 novembre) i carri armati sovietici annientarono le forze ungheresi rivoluzionarie, non senza accaniti scontri. Condanne a morte e pene detentive siglarono la fine della lotta, causando l'esodo clandestino di quasi duecentomila ungheresi. G. Volpi F. Fejtö, Storia delle democrazie popolari, Bompiani, Milano 1977; F. Argentieri (a c. di), La fine del blocco sovietico, Ponte alle Grazie, Firenze 1991. (Kalinovka 1894 - Mosca 1971). Politico sovietico. Già commissario politico nell'Armata rossa durante la Seconda guerra mondiale, nel Comitato centrale del Pcus dal 1949, alla morte di Stalin ne divenne segretario generale. Al XX congresso del partito (1956) denunciò, in un rapporto segreto che prese il suo nome, il culto della personalità e i crimini di Stalin; contemporaneamente avviò la distensione ed enunciò la teoria della "coesistenza pacifica" che diede il via al disgelo nelle relazioni diplomatiche con l'Occidente. Sul piano internazionale alternò un atteggiamento distensivo culminato con un viaggio negli Usa (1959) a una politica di potenza, arrivando a sfiorare, con la crisi dei missili (1962), lo scontro militare con gli Stati Uniti. Nel "campo socialista" avviò la riconciliazione con la Iugoslavia, ruppe i rapporti con la Cina di Mao e fu durissimo nel reprimere la rivolta ungherese del 1956. In politica interna si scontrò con la vecchia guardia del partito e promosse una relativa liberalizzazione economica allo scopo di soddisfare la crescente richiesta di consumi della popolazione, in particolare in campo agricolo. Nel 1958 assunse anche la carica di capo del governo annunciando la possibilità di raggiungere il comunismo in Urss entro il 1980. Le difficoltà economiche e la sua volontà di trasformare il partito in senso meno monolitico portarono alla sua destituzione ed emarginazione dalla vita politica (1964). (28 giugno 1956). Sommossa popolare scoppiata nella città della Polonia occidentale a causa delle cattive condizioni di vita e di lavoro degli operai di alcune officine locali che proclamarono uno sciopero, presto trasformato in scontri armati; solo l'intervento militare riportò la calma, ma l'avvenimento ebbe pesanti ripercussioni sulla crisi politica che la Polonia attraversava in quel momento, favorendo, alla fine, un significativo ricambio politico (vedi Gomulka). (Somogy 1896 - Budapest 1958). Politico ungherese. Comunista, entrò in contrasto con Rákosi sui metodi per realizzare il socialismo. Presidente del consiglio nel biennio 1953-1955, optò per scelte economiche vicine all'esperienza della Nep. Nell'ottobre 1956 formò un governo di emergenza per fronteggiare la rivoluzione ungherese, che finì per accettare. Arrestato durante la repressione sovietica, fu poi giustiziato. (Salgotárjan 1902 - Budapest 1989). Politico ungherese. Comunista, combattente nella Resistenza, emarginato nel 1953 come simpatizzante di Tito, in occasione della rivolta del 1956 divenne segretario del partito e sollecitò l'intervento armato sovietico rendendosi poi, come capo del governo, responsabile della "normalizzazione". Dal 1961 gestì il nuovo corso anteponendo la professionalità al conformismo ideologico, favorendo la diffusione dei beni di consumo, rilanciando il turismo e l'apertura culturale all'Occidente e concedendo l'amnistia politica. Via d'acqua artificiale di 161 km che collega il Mediterraneo con il mar Rosso, scavata tra il 1859 e il 1869 su progetto dell'ingegnere francese Ferdinand de Lesseps. Nel 1882, con l'occupazione dell'Egitto, la Gran Bretagna assunse il diretto controllo del canale e lo mantenne sino al 1954, quando tutte le forze britanniche lasciarono l'Egitto. Nel 1956 il governo egiziano di Nasser nazionalizzò la compagnia che gestiva il canale, a prevalente capitale anglo-francese, e per reazione Francia e Gran Bretagna, di concerto con Israele, aggredirono l'Egitto. Nel corso della Terza guerra arabo-israeliana del giugno 1967 gli israeliani occuparono tutto il Sinai e trasformarono così il canale nella linea di demarcazione tra gli eserciti egiziano e israeliano, determinandone la totale chiusura fino alla successiva guerra arabo-israeliana dell'ottobre 1973. Costretti i trasporti marittimi tra Europa e Asia orientale a tornare sull'antica rotta del Capo, ne derivò una forte accelerazione all'innovazione delle costruzioni navali che condusse alla creazione delle "superpetroliere", da 70.000 a oltre 100.000 tonnellate. L'Egitto, riottenuto il pieno controllo del canale, poté riaprirlo alla navigazione il 5 giugno 1975, ma ormai esso non era più in grado di far transitare i nuovi giganti del mare. (1962). Grave crisi diplomatica fra Stati Uniti e Unione sovietica. Scoppiò alla fine di agosto del 1962, quando le rilevazioni di un aereo spia americano dimostrarono che il nuovo governo rivoluzionario cubano stava installando nell'isola missili nucleari sovietici. Dopo settimane di drammatica tensione internazionale, tra minacce americane di intervento militare, dichiarazioni sovietiche di solidarietà con Cuba in caso di aggressione e inutili tentativi di mediazione dell'Onu, il presidente degli Stati Uniti J. F. Kennedy decretò il 23 ottobre il blocco navale dell'isola chiedendo lo smantellamento delle basi missilistiche. Nel giro di pochi giorni un fitto scambio di lettere tra Kennedy e il premier sovietico Chruscëv rese possibile un accordo (28 ottobre) in base al quale i sovietici accettarono di interrompere i lavori alle basi e di smantellare i missili già installati; per parte loro gli Stati Uniti si impegnarono a non invadere Cuba, e successivamente, in base a un accordo segreto, smantellarono vecchi missili installati in Turchia. La scelta americana dell'ultimatum, che sembrò portare il mondo a un passo dal conflitto nucleare, va considerata come una manifestazione di forza necessaria a riscattare il clamoroso insuccesso della baia dei Porci dell'anno precedente. Guadagnare navigando! Acquisti prodotti e servizi. Guadagnare acquistando online. (Krasno 1905 - Varsavia 1982). Politico polacco. Divenne segretario generale del Partito operaio polacco (comunista) nel corso della lotta antinazista (1943-1945). Nei governi di coalizione del dopoguerra assunse la carica di ministro per i Territori recuperati (ex tedeschi). Nel 1948 fu colpito dall'accusa di deviazionismo nazionalista ed espulso dal partito. Richiamato al potere nell'ottobre 1956, sventò la minaccia d'intervento sovietico canalizzando la protesta popolare su un modello "nazionale" di socialismo. Ben presto il suo riformismo si esaurì e si convertì in un nuovo irrigidimento politico. Nel 1970 la protesta operaia a Stettino e Danzica a causa delle gravi condizioni economiche rese inevitabile la sua destituzione. (Nuova politica economica). Ritorno provvisorio all'economia di mercato controllata dall'alto nella Russia rivoluzionaria (1921-1927). Adottata precipitosamente per volere di Lenin mentre le campagne insorgevano contro le requisizioni e Kronstadt era in rivolta, mise fine al comunismo di guerra e portò a un graduale ristabilimento dei rapporti di mercato, che permise al regime sovietico di guadagnare il consenso del mondo rurale e una rapida ripresa dell'economia, devastata dalle distruzioni della Prima guerra mondiale e della guerra civile. Nel 1925 venne raggiunto, complessivamente, il livello di sviluppo prebellico. Nella seconda metà degli anni venti, la Nep favorì una crescente differenziazione sociale nelle campagne, mentre nelle città si formavano consistenti sacche di disoccupazione. Un freno alla modernizzazione del paese venne dalla crisi dell'industria pesante, che necessitava di ingenti investimenti di capitale e richiedeva un intervento diretto dello stato. Fu abbandonata alla fine degli anni venti, quando, di fronte alla crisi degli ammassi cerealicoli provocata dall'errata politica dei prezzi del governo e alle difficoltà dell'industrializzazione, il gruppo dirigente staliniano impose la collettivizzazione dell'agricoltura agricola. Iniziava così lo stalinismo. (Brookline 1917 - Dallas 1963). Politico statunitense, presidente (1961-1963). Di ricchissima e potente famiglia cattolica del Massachusetts, valoroso combattente nella Seconda guerra mondiale, membro della Camera dei rappresentanti nel 1947, quindi senatore democratico nel 1953, per candidarsi alla presidenza nel 1960 dovette superare due limiti: la giovane età e la religione. Mobilitando una macchina propagandistica senza precedenti, ottenuta la candidatura a pieni voti, batté il repubblicano R. Nixon, per due mandati vicepresidente di Eisenhower. Sulla base dell'ideologia della nuova frontiera e grazie a un gruppo di eccezionali collaboratori (il fratello Robert, R. S. McNamara, A. M. Schlesinger, Mc George Bundy, Dean Rusk, Walter Rostow), impresse una spinta di novità e freschezza nella vita politica americana. Nel 1961 fu annunciata la creazione dei Peace Corps (Corpi della pace), gruppi di volontari per realizzare programmi economici, educativi e sociali nei paesi sottosviluppati, che due anni dopo erano presenti in 46 paesi, mentre nei confronti dell'America latina fu varato il piano noto come Alleanza per il progresso. Verso l'Urss Kennedy alternò fermezza e disponibilità alla distensione. Promosse il rafforzamento della potenza offensiva statunitense, intensificando ed estendendo il programma missilistico, potenziò le forze armate tradizionali, l'aviazione e la marina e approvò un forte aumento degli investimenti riguardanti la ricerca spaziale con il varo del piano "Apollo". Dopo il fallito tentativo dell'invasione di Cuba alla baia dei Porci e il conseguente avviò da parte dell'Urss della costruzione delle basi missilistiche sull'isola (crisi dei missili), decretò il blocco navale dei rifornimenti stranieri a Cuba, embargo ancora in atto negli anni novanta. D'altra parte partecipò ai colloqui di Berlino con Chruscëv (1962), realizzò il primo accordo per la vendita delle eccedenze di grano all'Urss, istituì la "linea rossa" per il collegamento diretto fra i vertici delle due superpotenze, favorì l'accordo di Ginevra fra le fazioni che si contendevano il potere nel Laos, negoziò e ratificò il trattato contro gli esperimenti nucleari nell'atmosfera (1963), ma decise anche la presenza di "consiglieri militari" a sostegno del Vietnam del sud contro la guerriglia vietcong, primo passo del tragico coinvolgimento Usa nella "sporca guerra". Sul versante interno Kennedy varò programmi di assistenza sociale e per i diritti civili dei neri, di cui fece approvare l'integrazione in campo scolastico negli stati segregazionisti del sud. Il suo attivismo e la sua energia innovativa gli attirarono l'ostilità delle forze oscure, militariste e retrive degli Stati Uniti: fu assassinato il 22 novembre 1963 da Harry Lee Oswald, in circostanze mai del tutto chiarite, sollevando una commozione senza precedenti in tutto il mondo. P. D'Attorre (17 aprile 1961). Tentativo fallito di invadere l'isola di Cuba da parte di 1500 soldati cubani esuli negli Usa e ostili al governo di Fidel Castro. L'invasione fu finanziata e diretta dai servizi segreti degli Stati Uniti, miranti al rovesciamento del nuovo governo cubano, che aveva iniziato la nazionalizzazione di proprietà di grande interesse economico per gli Usa. Frizioni di carattere economico, militare e propagandistico avevano fin dal 1960 causato la rottura dei rapporti tra il nuovo governo cubano e quello statunitense, il quale rispose dapprima con l'embargo economico e poi con un progetto di intervento militare diretto sull'isola. L'operazione, decisa dal presidente Eisenhower, fu ereditata dal successore John F. Kennedy, che nell'aprile 1961 ne autorizzò l'esecuzione. I 1500 fuoriusciti cubani furono sconfitti dall'aviazione e dall'esercito castristi e fatti prigionieri nel giro di pochi giorni. Il tentativo di sbarco pregiudicò i rapporti tra gli Usa e l'Unione sovietica, che si schierò in difesa dell'indipendenza cubana. (1918-1921). Insieme dei provvedimenti sociali ed economici adottati dai bolscevichi nel periodo della guerra civile russa nel tentativo di esercitare un più stretto controllo sulle scarse risorse a disposizione. Le misure intraprese, designate da Lenin nel 1921 con il termine di "comunismo di guerra", comportarono la nazionalizzazione dell'industria, la soppressione del commercio privato (sostituito dal razionamento e dalla distribuzione pubblica di generi alimentari), un ulteriore sviluppo degli scambi in natura, l'invio di distaccamenti operai nelle campagne per la requisizione di viveri a favore dell'esercito e degli abitanti delle città. Quest'ultima disposizione non fu però accettata dalla popolazione rurale che, alla raccolta forzata delle derrate decretata dalle autorità, rispose con sollevazioni e con il rifiuto di coltivare la terra. Terminata la guerra civile, la grave crisi sociale ed economica in cui versava il paese indusse Lenin ad abbandonare il comunismo di guerra per adottare la Nep. COLLETTIVIZZAZIONE DELL'AGRICOLTURA IN URSS (1929). Mezzo scelto dal gruppo dirigente staliniano nel 1929 per risolvere la crisi degli approvvigionamenti cerealicoli sorta negli ultimi anni della Nep. Scopo della collettivizzazione era la creazione di grandi unità produttive nella campagna, al posto della miriade di piccole fattorie contadine, in modo da consentire il controllo diretto dello stato sulla produzione agricola, spezzando la resistenza del mondo rurale alla forsennata politica di industrializzazione forzata dello stalinismo. Preludio alla collettivizzazione furono le "misure straordinarie" imposte da Stalin all'inizio del 1928 per requisire il grano. Il successo ottenuto dalle requisizioni ebbe un ruolo determinante nella decisione, presa nel novembre del 1929 dal Politbjuro, di procedere alla "collettivizzazione totale" delle campagne, che segnò la definitiva sconfitta dell'opposizione di destra (vedi Bucharin). La collettivizzazione forzata venne messa in atto, per ondate successive, tra il 1930 e il 1934. Feroce guerra condotta dallo stato contro i contadini con l'uso di misure coercitive e repressive, la collettivizzazione ebbe costi spaventosi. Nel dicembre 1929 Stalin annunciò la liquidazione dei kulaki come classe. Per milioni di contadini (i kulaki, contadini ricchi, erano invece solo una sparuta minoranza) cominciò una spaventosa odissea. Scacciati dalle loro case, privati di tutti gli averi, furono costretti a entrare nelle fattorie collettive (kolchoz) con miserevoli paghe in natura; i più agiati vennero condannati alla deportazione. Stipati nei carri bestiame, molti morirono di fame e di stenti durante il viaggio. Si calcola che i contadini colpiti dal provvedimento siano stati tra i cinque e i dieci milioni, un terzo dei quali trovò subito la morte. Rivolte endemiche scoppiarono nelle campagne (nel solo 1929 ne vennero soffocate con le armi milletrecento). Terrorizzati, i contadini macellavano il bestiame, con grave danno per il patrimonio zootecnico del paese (nel 1940 era pari a quello del 1916, anno di guerra). Interi villaggi venivano abbandonati: per legare alla terra i contadini, alla fine del 1932 venne ristabilito il sistema dei passaporti interni. La conseguenza più spaventosa della collettivizzazione fu la fame che devastò, nell'inverno 1932-1933, le campagne dell'Ucraina, del Caucaso settentrionale, del Kazachistan e di altre regioni. Le vittime della fame furono, secondo stime ancora approssimative, tra i 4 e i 7,7 milioni. Con la collettivizzazione lo stato riuscì a organizzare l'estorsione del grano, ma non la produzione che, anzi, diminuì fino al 1937. Per far fronte alla situazione, il governo fu costretto, nel 1935, a concedere ai contadini piccoli appezzamenti di terra che, nonostante le tecniche primitive di conduzione agraria, contribuirono in modo sostanziale al sostentamento alimentare del paese (nel 1938, pur occupando solo il 3,9 per cento delle aree coltivate, fornivano il 45 per cento della produzione agricola totale). Condotta in nome della modernità, la collettivizzazione finì per riprodurre, in questo modo, l'arcaismo del mondo rurale tradizionale. M. Ferretti Epoca e regime politico in cui si affermò in Urss la dispotica dittatura di Stalin e l'ideologia a essa connessa. Iniziò alla fine degli anni venti e terminò con la morte del dittatore nel 1953. Fu in questo periodo che si costituirono i tratti fondamentali del sistema sovietico, segnato dall'ispirazione dello stato-partito ad assumere il controllo totale su tutti gli aspetti della vita del paese (politica, economica, sociale e culturale). Frutto di un singolare sovrapporsi di continuità e rotture da una parte con la storia russa prerivoluzionaria e dall'altra con la tradizione rivoluzionaria bolscevica, lo stalinismo generò uno degli stati totalitari più feroci del XX secolo. Le vittime del regime di Stalin si contarono a milioni. Esso sorse quando, di fronte alle difficoltà del decollo industriale, fu abbandonata la Nep e venne imposta al paese la modernizzazione dall'alto. Nel 1929, dopo la sconfitta dell'opposizione di destra di Bucharin, Stalin assunse il pieno controllo del partito e diede avvio alla "grande svolta" che avrebbe dovuto portare alla rapida edificazione dell'economia socialista, regolata dalla pianificazione statale: ebbe inizio la collettivizzazione dell'agricoltura, accompagnata dall'industrializzazione forzata. LO STATALISMO. Questo programma fu svolto rafforzando a dismisura l'unico strumento che i bolscevichi avevano a disposizione: lo stato. Il partito, che si diffuse con lo stato, cambiò fisionomia: si trasformò da gruppo dirigente politico in classe di amministratori economici. Si assistette, di conseguenza, a un nuovo orientamento del sistema di valori mascherato da un'apparente continuità ideologica. La dittatura autoritaria dai tratti illuministi tracciata da Lenin, che si proponeva, attraverso adeguate politiche economiche e di educazione, di conquistare il consenso di larghi strati sociali al nuovo regime, diminuendo il divario esistente tra lo stato e la società, cedette il posto a una dittatura autocratica, fondata sull'esaltazione dello stato leviatano e sullo schiacciamento totale della società. Anche se non mancarono elementi di continuità tra Lenin e Stalin, questo cambiamento dei fini del potere rappresentò un momento di rottura di primaria importanza. L'intervento massiccio dello stato in tutti i settori fu favorito dal fatto che la società degli anni venti era debolmente strutturata, poiché la rivoluzione e la guerra civile avevano spazzato via quei nuclei di "società civile" che si erano costituiti negli ultimi decenni dello zarismo. Questo spiega, almeno in parte, le ragioni di una mancata resistenza organizzata al regime staliniano, che mosse una vera e propria guerra a tutti gli strati della società. Gli anni trenta furono anni di spaventosi sconvolgimenti sociali. La collettivizzazione e l'industrializzazione forzata frantumarono violentemente il tessuto sociale preesistente. Vennero distrutte identità collettive secolari, mentre la società si atomizzava. La Russia si popolò di nomadi e vagabondi, contadini e operai fuggiti da villaggi e città alla ricerca di condizioni di vita almeno sopportabili. Per far fronte alla crisi sociale permanente vennero rafforzati a dismisura gli apparati repressivi dello stato. Con il ristabilimento dell'odioso sistema zarista dei passaporti interni e della propiska (permesso di residenza dato dalla polizia), nel 1932 i contadini vennero di nuovo legati alla terra e gli operai alle fabbriche, mentre il paese si riempiva di campi di concentramento. Nasceva il Gulag. La mobilità sociale altissima provocò un colossale rimescolamento. Interi strati sociali vennero scaraventati dai vertici al fondo della piramide, mentre altri emergevano, prima di essere a loro volta travolti. UNA SOCIETÁ GERARCHIZZATA. Il Partito comunista dell'Unione sovietica, partito unico, fu il principale canale di promozione sociale: la fedeltà all'ideologia era la conditio sine qua non per cambiare la propria posizione. Nacque una nuova struttura sociale fortemente gerarchizzata. I contadini, discriminati dalla legislazione, tornarono in pratica alla condizione del servaggio, abolito da Alessandro II nel 1861; gli operai persero tutti i privilegi di cui avevano goduto negli anni venti e vennero posti alla mercé assoluta dei dirigenti industriali, mentre l'allargarsi del ventaglio salariale e la diffusione del cottimo creavano disparità crescenti. L'impegno diretto dello stato nella produzione provocò la crescita a dismisura dell'apparato burocratico. La cristallizzazione del sistema gerarchico portò con sé un ritorno a valori tradizionali (la famiglia, per esempio) destinati a inculcare nelle masse la disciplina, il conformismo e il rispetto per l'autorità. Si costituì una nuova ideologia tesa a recuperare i valori del nazionalismo imperiale russo inserendoli in un contesto dominato dal culto di Stalin. Il disorientamento di interi strati sociali brutalmente sradicati fornì il terreno propizio per la nascita di una sorta di religione statale con i suoi nuovi riti (parate-processioni, idolatria dei capi e delle loro immagini, uso di vocaboli di origine religiosa) che si nutrì, trasfigurandole, delle antiche credenze del mondo contadino: il culto di Stalin, dio-padre-padrone onnipotente, fu accompagnato dalla caccia spietata ai "nemici del popolo", moderna versione della demonologia rurale intrisa di paganesimo, che attribuiva alle "oscure forze del male" la responsabilità di tutte le disgrazie. Nel paese regnava un arbitrio totale. LO STATO DI POLIZIA. La potente polizia segreta (Nkvd), sottoposta direttamente a Stalin, aveva diritto di vita e di morte sugli abitanti del paese dei soviet. Dopo l'assassinio, probabilmente ordito da Stalin alla fine del 1934, di Kirov, prestigioso dirigente del partito di Leningrado e rappresentante della nuova tecnocrazia che si era creata durante il primo piano quinquennale, la macchina repressiva si volse contro le elite politiche. Iniziava il grande Terrore. Tra il 1936 e il 1938, nei processi di Mosca, venne sterminata la vecchia guardia bolscevica; sotto la scure della polizia politica cadde anche l'Armata rossa, che fu gravemente scompaginata dalle purghe, come dimostrò la facilità dell'avanzata nazista al momento dell'aggressione nel 1941. Alla fine degli anni trenta Stalin era ormai padrone assoluto del paese. Capriccioso despota autocratico, fece distruggere anche lo stesso gruppo dirigente a lui fedele che aveva patrocinato la "grande svolta". Si riprodusse un modello di potere che aveva le sue origini nella Russia antica e che istituzionalizzava la nuova struttura gerarchica della società: l'autocrate creava una elite dirigente priva di una legittimazione autonoma (funzionale o legata alla proprietà) e quindi alle sue assolute dipendenze; questa disponeva, in cambio, dello stesso potere assoluto nei confronti dei suoi sottoposti. Solo con la destalinizzazione degli anni cinquanta e l'istituzionalizzazione dei meccanismi del potere, le nuove elite acquistarono una legittimità propria. Dopo la vittoria contro il nazismo il regime staliniano conobbe un ulteriore inasprimento. Già sul finire del conflitto intere popolazioni, accusate di collaborazionismo, erano state deportate. LA GUERRA FREDDA. Nel 1946, con l'imposizione del realismo socialista legata al nome di Zdanov, una nuova ondata repressiva si abbatté sul mondo culturale e sulla burocrazia statale, mentre prendeva l'avvio una persecuzione degli ebrei. Solo la morte del tiranno (1953) impedì lo scatenarsi di un nuovo terrore. Nel dopoguerra, con la spartizione del mondo in sfere d'influenza, lo stalinismo fu imposto anche nei paesi dell'Europa orientale. I risultati dello stalinismo furono paradossali. La modernizzazione del paese fece dell'Urss la seconda potenza mondiale, ma gli squilibri strutturali dell'economia (dominio dell'industria pesante, stagnazione dell'agricoltura) ne condannarono lo sviluppo successivo; il perdurare di forme arcaiche di produzione, fondate sull'uso del lavoro coatto (il Gulag, le aziende statali in agricoltura), impedirono il costituirsi di una moderna cultura del lavoro basata sulla valorizzazione della qualità e della produttività. Il dominio del terrore rese la società apatica, distruggendo ogni spirito imprenditoriale; l'acculturazione di massa, avvenuta in condizioni di mancanza totale di libertà, danneggiò gravemente il potenziale intellettuale del paese; le repressioni indiscriminate impedirono il costituirsi di una società articolata, capace di limitare lo strapotere dello stato. M. Ferretti M. Lewin, Storia sociale dello stalinismo, Einaudi, Torino 1988; M. Reiman, La nascita dello stalinismo, Editori riuniti, Roma 1980; R. Conquest, Il grande terrore, Garzanti, Milano 1970; R. Tucker, Stalin il rivoluzionario. 1879-1929, Feltrinelli, Milano 1977. Slogan politico lanciato da John F. Kennedy il 14 luglio 1960, durante il discorso di accettazione della nomination alla presidenza degli Stati Uniti alla convenzione democratica di Los Angeles. In una situazione di profonda crisi economica interna e di aspra tensione con l'Unione sovietica sulle questioni della Germania e del disarmo, Kennedy dichiarò: Ci troviamo oggi alle soglie di una nuova frontiera, la frontiera degli anni sessanta. Non è una frontiera che assicuri promesse, ma soltanto sfide, ricca di sconosciute occasioni, ma anche di pericoli, di incompiute speranze e di minacce. Da allora l'espressione riassunse i contenuti dell'azione politica riformatrice intrapresa dall'amministrazione Kennedy, sia in materia di disarmo e di distensione internazionale, sia soprattutto in politica interna con i programmi di "guerra alla povertà" e alla disoccupazione, i provvedimenti a favore dell'istruzione e il progetto di legge contro la discriminazione razziale nei luoghi pubblici, nelle scuole e nelle imprese, a sostegno delle battaglie per i diritti civili intraprese dal movimento di protesta dei neri. (Alianza para el progreso). Programma di finanziamenti per venti miliardi di dollari ai paesi latinoamericani lanciato dal presidente degli Usa John F. Kennedy nel 1961 in seguito al timore della diffusione dell'esempio della rivoluzione cubana (1959). In contropartita i governi beneficiari s'impegnavano a realizzare riforme di struttura foriere di una più equa distribuzione dei redditi. Il piano fallì totalmente: il Congresso tagliò gli aiuti del 40 per cento e non fu realizzata quasi nessuna riforma, sia perché esse sarebbero state contrarie agli interessi nordamericani in America latina, sia per l'opposizione delle oligarchie locali. (Finca Manacas 1927). Politico cubano. Primo ministro (1959-1976), presidente del consiglio di stato (1976), presidente dei paesi non allineati (1979-1981). Di famiglia benestante, entrò all'università nel 1945 e partecipò alla politica studentesca. Fu presente al bogotazo (1948), cioè alle violente manifestazioni di Bogotà contro la formazione dell'Organizzazione degli stati americani (Osa). Avvocato al momento del colpo di stato di F. Batista (1952), fu un suo dichiarato oppositore. Organizzò l'attacco fallito alla caserma Moncada (1953) da cui nacque il Movimento 26 di luglio di cui fu dirigente. Incarcerato e processato fece della sua autodifesa un programma politico (La storia mi assolverà). Amnistiato nel 1955, partì per il Messico dove organizzò una spedizione militare a Cuba su una vecchia imbarcazione, il Granma. I dodici sopravvissuti al disastroso sbarco iniziarono una guerriglia che, cresciuta enormemente con l'appoggio dei contadini, sconfisse Batista instaurando un regime di impronta radicale (1959). Il progressivo deterioramento delle relazioni con gli Usa e l'appoggio di Washington agli attacchi armati contro Cuba portò Castro a dichiarare l'opzione socialista nel 1961, che egli mantenne anche in seguito al crollo dei paesi dell'Est europeo nel 1989, riaffermando la specificità della rivoluzione cubana, con l'introduzione però di elementi dell'economia di mercato e con un'apertura del paese all'esterno che portò allo storico viaggio di Giovanni Paolo II a Cuba nel gennaio 1998. (Mosca 1888 - ivi 1938). Politico russo. Bolscevico, dirigente di primo piano della rivoluzione d'ottobre, fu negli anni venti il maggiore teorico della transazione al socialismo attraverso lo sviluppo dei rapporti di mercato. Convinto della centralità della questione contadina, dato che le masse rurali costituivano l'80% della popolazione, Bucharin elaborò un'interpretazione sostanzialmente liberista della Nep, destinata ad assicurare al potere sovietico il consenso delle campagne. Da qui nacque lo scontro con la sinistra trozkista che sosteneva la necessità di un maggior intervento statale per trasferire ricchezza dall'agricoltura all'industria. A partire dal 1924 si schierò al fianco di Stalin contro la sinistra, ma la sconfitta di Trockij, espulso dal partito alla fine del 1927, segnò anche la sua fine. Di fronte al profilarsi della "grande svolta" staliniana, destinata a metter fine, con l'industrializzazione forzata e la collettivizzazione delle campagne, alla Nep, guidò l'ultima battaglia per un'alternativa allo stalinismo. Nel 1929 venne estromesso dagli organismi dirigenti del partito e, dopo un breve ritorno alla vita politica nei primi anni trenta, venne processato e fucilato, come "nemico del popolo", nel 1938. Fu riabilitato mezzo secolo dopo, nel 1988. Direzione centrale statale dei campi di lavoro dell'Urss. Universo concentrazionario sovietico, vero e proprio "stato nello stato" sotto il diretto controllo della polizia segreta (Nkvd) assunse, durante lo stalinismo, dimensioni enormi. I primi campi (lager) di rieducazione e lavoro furono creati nel 1918; nel 1923, nelle isole di Solovki, venne organizzato il primo campo per prigionieri politici, dove vennero internati ufficiali bianchi, esponenti dell'intelligencija e rappresentanti dei partiti prerivoluzionari. Alla fine degli anni venti, con lo scatenarsi delle repressioni staliniane, il Gulag crebbe a dismisura: tra il 1928 e il 1940 esistevano almeno 162 lager, in cui vennero internati, secondo stime approssimative, tra i 10 e i 20 milioni di prigionieri, di cui molti perirono per via delle drammatiche condizioni di vita e di lavoro. Il Gulag permise lo sfruttamento sistematico della manodopera coatta per l'industrializzazione forzata. Alcune delle maggiori opere di quegli anni vennero realizzate con l'uso del lavoro forzato dei detenuti (canale del mar Bianco, Mosca-Volga; valorizzazione dei giacimenti auriferi della Kolyma; costruzione di ferrovie, strade ed edifici, come l'università di Mosca). La Nkvd aveva fabbriche e persino laboratori di ricerca, dove furono messi a lavorare ingegneri e specialisti arrestati tra il 1928 e il 1931 (A.N. Tupolev, padre dell'aeronautica sovietica, vi disegnò i suoi primi aerei). (1928-1933). Inizio dell'industrializzazione forzata dell'Unione sovietica. La decisione di metterlo a punto fu presa alla fine del 1927 dal XV congresso del Pcus, che, di fronte alle difficoltà del decollo industriale emerse durante la Nep, optò per un intervento diretto dello stato nella vita economica all'ombra dello slogan ideologico del socialismo in un solo paese, attraverso la redistribuzione centralizzata delle risorse. Principio della pianificazione doveva essere la razionalità economica, che avrebbe dovuto consentire un elevato tasso di sviluppo senza violare gli equilibri di base dell'economia (fra agricoltura e industria da un lato e fra produzione, consumi e investimenti dall'altro). Nel corso dell'aspra lotta politica che portò alla vittoria del gruppo dirigente staliniano queste indicazioni vennero abbandonate. Il piano, adottato nella primavera del 1929 (con valore retroattivo all'ottobre del 1928), fissava obiettivi affatto irrealistici (la produzione industriale doveva triplicare); in seguito, inoltre, i ritmi di sviluppo vennero ulteriormente aumentati. Fu realizzato in quattro anni e tre mesi: ma i risultati furono di gran lunga inferiori alle previsioni. I costi furono altissimi e provocarono forti pressioni inflazionistiche; si ridusse drasticamente il tenore di vita della popolazione. La priorità assoluta assegnata all'industria pesante distrusse gli equilibri fondamentali dell'economia, compromettendo lo sviluppo successivo. Processo di rinnovamento e liberalizzazione attuato in Urss dal regime e dal Partito comunista. Iniziata subito dopo la morte di Stalin (1953), si prolungò, attraverso fasi alterne e contraddittorie, fino alla perestrojka. Lo stalinismo era stato percorso dal conflitto latente tra due sistemi di potere incompatibili: il potere assoluto e capriccioso dell'autocrate e quello delle nuove élite amministrative ed economiche sorte nel corso della modernizzazione, che aspiravano a consolidare le posizioni raggiunte limitando, di fatto, l'arbitrio del dittatore. Fu la nuova classe dirigente, cresciuta all'ombra del Terrore staliniano e capeggiata da N.S. Chruscëv, eletto segretario generale del partito, a iniziare lo smantellamento dell'apparato repressivo staliniano, privandolo dell'autonomia di cui godeva e riconducendolo sotto il controllo del partito. L. Berija, il potente capo della polizia politica, fu arrestato e ucciso (giugno 1953); furono liberati dal Gulag i primi prigionieri politici. Chruscëv denunciò i crimini di Stalin nel rapporto segreto al ventesimo congresso del Pcus (1956). Egli limitò tuttavia il problema dello stalinismo alla figura di Stalin, despota che aveva esautorato il partito, e indicò nel ristabilimento della direzione collegiale del Pcus la garanzia necessaria per impedire il ripetersi del passato. La destalinizzazione fu innanzitutto un processo di legalizzazione dei meccanismi istituzionali di funzionamento del potere costituitisi negli anni trenta (il rapporto stato-partito-società). La repressione della rivolta ungherese del 1956 mostrò i limiti di questo processo. La denuncia dei crimini di Stalin fu accompagnata da una liberalizzazione culturale, il cosiddetto disgelo. Il XXII congresso del Pcus (1961) impresse nuovo slancio alla destalinizzazione e la letteratura cominciò a ritrovare una sua funzione autonoma, restituendo alla memoria collettiva la tragedia dello stalinismo. Iniziò allora la destalinizzazione "dal basso", di cui si fecero portavoce le principali riviste culturali. Con la destituzione di Chruscëv e l'avvento al potere del gruppo conservatore brezneviano (1964), la destalinizzazione venne messa in sordina; si assistette anzi a una discreta riabilitazione del dittatore. La cultura venne soffocata di nuovo (processo agli scrittori Siniavskij e Daniel, 1966): ma non si trattò di un ritorno allo stalinismo. Le idee nate col disgelo continuarono a maturare al di fuori dei circuiti ufficiali, come testimonia l'esperienza stessa del dissenso, ed emerse in superficie ai primi cenni di un nuovo disgelo, quello di Gorbacëv. È di questo pluralismo ideologico che si nutrì la cultura politica sovietica della perestrojka. M. Ferretti Tendenza letteraria ufficiale sovietica adottata nel 1934 in occasione del primo congresso degli scrittori sovietici. Fondato su una celebre risoluzione del 1932 del Comitato centrale del Pcus, propugnava l'idea che lo scrittore dovesse partecipare direttamente alla costruzione del socialismo quale ingegnere delle anime. Elaborato nelle sue linee generali da Andrej Zdanov, in regime stalinista si impose come dogma obbligatorio per tutti gli scrittori. Si basava sui concetti di partiticità, carattere idealistico e spirito popolare. A modello fu presa l'opera di Maksim Gor'kij. La sua piena realizzazione fu riconosciuta nelle opere di Fadeev, Solochov e Ostrovskij, mentre chi non vi si adeguava era vittima di censura e repressione. (Karol Wojtyla, Wadowice 1920 - Roma 2005). Religioso polacco, papa. Arcivescovo di Cracovia, fu chiamato a succedere a Giovanni Paolo I nel 1978. Primo papa non italiano dal 1523, per quanto strenuo difensore della gerarchia e dell'unità della Chiesa, sconvolse molti assetti tradizionali non soltanto nella Chiesa, ma nel mondo. Intraprese una serie di viaggi in tutti i continenti che promuovevano a livello planetario il ruolo carismatico e apostolico della Chiesa e la difendevano da erosioni rivoluzionarie (vedi teologia della liberazione). Il suo attivismo ebbe forti ripercussioni anche sulla politica dei paesi cattolici dell'Europa orientale, a cominciare dalla natia Polonia, contribuendo in maniera significativa al crollo del blocco orientale. (7 novembre 1917). Presa del potere da parte dei bolscevichi in Russia, così chiamata perché realizzata tra il 25 e il 26 ottobre secondo il calendario giuliano, allora in vigore in tutti i territori già facenti parte dell'impero zarista. TUTTO IL POTERE AI SOVIET. Essa costituì la conclusione del percorso di profonda trasformazione dello stato e del potere iniziato con la rivoluzione di febbraio di quello stesso anno. I governi provvisori nel frattempo succedutisi non erano riusciti a risolvere i gravi problemi della popolazione (in primo luogo le conseguenze negative della guerra sui livelli materiali di vita) e a interrompere il progressivo deteriorarsi dell'autorità politica e della credibilità delle istituzioni. I bolscevichi, sotto la direzione di Lenin, rientrato in marzo dall'esilio, divennero in pochi mesi la forza politica attorno cui si coagulò lo scontento, aumentando progressivamente la propria forza e influenza tra i settori popolari delle principali città e negli organismi di rappresentanza di recente formazione (vedi soviet). Con un programma sintetizzato nello slogan "tutto il potere ai soviet" (in particolare: nazionalizzazione delle banche e della terra, fine immediata della guerra in corso dal 1914 e costituzione di una repubblica dei soviet), i bolscevichi si presentarono come la componente più compatta e decisa tra i partiti russi, i soli a essere dotati di una precisa strategia politica. Queste caratteristiche, elementi caratterizzanti del leninismo, rivelarono il loro peso durante la crisi precipitata dall'estate del 1917. Dopo la fallita offensiva russa di giugno sul fronte tedesco, i bolscevichi decisero di passare all'azione dando vita a violente manifestazioni di piazza che a Pietrogrado furono duramente represse dall'intervento dell'esercito (3-4 luglio). Lenin dovette fuggire in Finlandia, mentre altri importanti dirigenti bolscevichi, tra cui Trockij e Kamenev, venivano arrestati. Pur in condizioni di semiclandestinità i bolscevichi incrementarono la propria iniziativa politica d'agitazione e propaganda; in particolare essi furono molto attivi tra gli operai dei grandi complessi industriali e i soldati delle retrovie, arrivando ad assumere il controllo dei "soviet dei soldati e degli operai" a Pietrogrado e Mosca; in tal modo la dualità di potere presente in Russia dalla rivoluzione di febbraio (soviet da un lato e governo provvisorio dall'altro) assumeva le caratteristiche dello scontro aperto. Il tentato colpo di stato di settembre del generale L.G. Kornilov, che tentò di occupare Pietrogrado per restaurare il regime zarista, determinò una polarizzazione ancor maggiore delle posizioni. Rientrato Lenin dalla Finlandia e liberati i dirigenti arrestati, i bolscevichi decisero di prepararsi alla presa del potere attraverso un'insurrezione armata. Questa decisione venne presa dal Comitato centrale del partito il 10 ottobre nonostante l'opposizione di influenti dirigenti bolscevichi come Kamenev e Zinov'ev. Nei giorni successivi, mentre continuavano scioperi e manifestazioni, il piano insurrezionale venne attuato a partire dalla costituzione del Comitato militare rivoluzionario del soviet di Pietrogrado (16 ottobre). L'organismo, nato per difendere la rivoluzione russa dalla ventilata possibilità di un'offensiva tedesca sulla capitale, permise ai bolscevichi di assumere il controllo militare delle truppe di stanza in città. Determinati a prendere il potere prima dell'inizio del Congresso panrusso dei soviet (previsto per il 25 ottobre), i bolscevichi diedero il via all'insurrezione il 24 ottobre. I DECRETI SULLA PACE E SULLA TERRA. In due sole giornate, soprattutto grazie all'apporto dei marinai della flotta della base di Kronstadt e delle "guardie rosse" (soldati e operai armati dal soviet di Pietrogrado), il potere passava nelle mani dei bolscevichi in modo quasi incruento: la sera del 25 ottobre il governo Kerenskij veniva destituito e i suoi ministri arrestati durante l'assalto al Palazzo d'inverno (un avvenimento che divenne il momento simbolico dell'insurrezione). Contemporaneamente si apriva il Congresso panrusso dei soviet: mentre i menscevichi abbandonavano l'aula in segno di protesta contro l'insurrezione, la maggioranza dei delegati (bolscevichi e socialrivoluzionari di sinistra) le forniva l'avallo "legale". Il congresso si proclamava legittimo governo del paese e approvava i decreti sulla pace e sulla terra che costituivano i primi atti formali del nuovo potere sovietico. La vittoria politica, prima che militare, dei bolscevichi veniva poi confermata dalla decisione di delegare il consolidamento del nuovo potere al Consiglio dei commissari del popolo, organismo esecutivo di cui Lenin venne nominato presidente e che era composto principalmente da esponenti bolscevichi. Contro il nuovo potere l'ex primo ministro Kerenskij tentò un'offensiva con truppe rimastegli fedeli, ma venne sconfitto il 30 ottobre nella battaglia di Pulkovo. Nel resto del paese la rivoluzione incontrò una resistenza maggiore che nella capitale. A Mosca i bolscevichi assunsero il controllo della situazione solo il 2 novembre, dopo che il 28 ottobre la città era stata teatro di disordini che avevano provocato numerose vittime. Nelle altre città della Russia e nei principali distretti industriali il potere sovietico si consolidò in tempi e modi diversi: mentre nella gran parte del paese entro la fine del 1917 i nuovi organismi di potere si erano ormai formalmente consolidati, in Ucraina, nell'area del Don e nel Caucaso la rivoluzione trovava una più consistente opposizione che si protrasse, facendo sentire le proprie conseguenze in tutta la Russia, nei tre anni seguenti con la guerra civile russa. L'insurrezione non portò a un'immediata concentrazione del potere nelle mani dei bolscevichi. I socialrivoluzionari di sinistra presero parte attiva alle prime decisioni e ai primi organismi di governo, mentre menscevichi e socialrivoluzionari di destra iniziarono una violenta lotta al nuovo regime. Tuttavia, mentre le opposizioni erano destinate a essere presto messe fuorilegge sotto l'incalzare della guerra civile e dell'emergenza alimentare, il ruolo egemonico assunto dal partito di Lenin nella conquista del potere e le stesse modalità attraverso cui essa era avvenuta costituirono un forte condizionamento per il futuro. L'egemonia bolscevica (politica e militare) sui nuovi organismi di potere, unita alla situazione d'emergenza di un paese ridotto alla fame da anni di guerra, portarono presto a un accentramento del potere e segnarono fin dall'inizio la storia del nascente stato sovietico. G. Polo (rifondazione, 1985-1991). Rivoluzione dall'alto compiuta in Urss da Michail Gorbacëv, segretario generale del Pcus. Concepita inizialmente come una politica di riforme radicali per modernizzare il sistema del "socialismo reale", si trasformò in un tempestoso processo di democratizzazione. La liberalizzazione e la fine delle persecuzioni contro i dissidenti permisero il costituirsi di gruppi e movimenti che fin dal 1988 si imposero sulla scena politica. La separazione dello stato dal partito, inestricabilmente fusi fin dagli anni trenta, portò alla "secolarizzazione" dello stato sovietico e alla nascita di nuove forme di mediazione istituzionale (Congresso dei deputati del popolo dell'Urss, 1989). Fu intrapresa una vasta opera legislativa per creare uno stato di diritto. La perestrojka fallì invece sia nei riguardi delle nazionalità che in campo economico. I ritardi nell'affrontare la questione nazionale esasperarono le spinte secessionistiche, che si accentuarono nel 1990 quando furono democraticamente eletti i parlamenti locali. La perestrojka tuttavia contribuì a mettere fine alla guerra fredda e aprì un'epoca nuova nelle relazioni internazionali. Fu superato l'assetto mondiale fondato sull'equilibrio bipolare Usa-Urss, sorto al termine della Seconda guerra mondiale con la spartizione delle sfere d'influenza fra le due superpotenze. La distensione consentì lo smantellamento pacifico dell'impero sovietico, culminato, alla fine del 1989, nelle "rivoluzioni" dei paesi dell'Europa orientale (Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Germania est, Bulgaria, Romania) e nella dissoluzione della stessa Urss. Tentativo illuminista di gestire in modo pacifico, senza traumi, l'uscita dal totalitarismo, la perestrojka fu stroncata, a un passo dal suo coronamento (la firma del nuovo trattato d'Unione fra le repubbliche), dal fallito colpo di stato a Mosca dell'agosto 1991. (Mariupol 1896 - Mosca 1948). Politico sovietico. Prese il posto di Kirov a Leningrado e vi attuò una feroce repressione. Stalinista convinto, nel 1937 fornì il presupposto teorico delle epurazioni di massa nel partito. Guidò la resistenza in Leningrado contro ogni autonomia in campo culturale, sottoponendo scienza e arte ai dogmi marxisti-leninisti (zdanovismo). Corrente di pensiero cattolica, sviluppatasi in America latina, che tende a porre in evidenza i valori di emancipazione sociale e politica presenti nel messaggio cristiano. La nascita del movimento risale alla conferenza episcopale latinoamericana (Celam) svoltasi nel 1968 a Medellín, in Colombia, allorché i rappresentanti della gerarchia ecclesiastica del subcontinente presero posizione in favore dei gruppi più diseredati della società latinoamericana e della loro lotta e si pronunciarono per una Chiesa popolare e socialmente attiva. La denominazione divenne universale dopo la pubblicazione del saggio del sacerdote peruviano Gustavo Gutiérrez, Teologia della liberazione (1971). Il diffondersi in quasi tutto il subcontinente, durante gli anni settanta, di dittature militari o di regimi pesantemente repressivi, sovente causa di acute frizioni fra ampi settori della Chiesa cattolica e i poteri costituiti, incentivò l'impegno dei teologi della liberazione che vennero elaborando proposte sempre più radicali per far fronte all'aggravarsi della crisi politica e sociale latinoamericana. Notevole diffusione ebbero in questo periodo le comunità ecclesiastiche di base (Ceb), nuclei ecumenici impegnati a vivere una fede di partecipazione ai problemi della società, che misero radici un po' in tutti i paesi ma soprattutto in Brasile e Nicaragua. In Brasile, grazie anche all'appoggio del cardinale di San Paolo, Paulo E. Arns, e del vescovo Helder P. Câmara, ne sorsero quasi 100.000. In Nicaragua numerosi sacerdoti e laici cattolici presero parte alla lotta armata contro la dittatura di A. Somoza e in seguito sacerdoti come Ernesto Cardenal e Miguel D'Escoto entrarono nel governo sandinista. La terza riunione della Celam, svoltasi a Puebla, in Messico, nel 1979, pur riaffermando e sviluppando i princìpi elaborati a Medellín evidenziò anche l'emergere di una forte opposizione, portata da settori conservatori, alle tesi della teologia della liberazione. Questa opposizione andò rafforzandosi negli anni ottanta grazie all'appoggio del pontefice Giovanni Paolo II. I principali artefici della teologia della liberazione furono progressivamente allontanati dai nodi gerarchici superiori e il loro campo d'azione venne via via ridotto. Emblematico fu il caso del frate francescano Leonardo Boff che, dopo diversi processi ecclesiastici, abbandonò l'ordine nel 1992. J.L. Del Roio G. Gutiérrez, La teologia della liberazione, Queriniana, Brescia 1972; E. Bernardini, Comunicare la fede nell'America oppressa, Claudiana, Torino 1982; I. Ellacuria, J, Sobrino (a c. di), Mysterium Liberationis, Borla-Cittadella, Assisi 1993. Membri del Partito operaio socialdemocratico russo aderenti alle tesi di Lenin che ottennero la maggioranza al II congresso del partito (1903), contro i menscevichi (bolscevichi significa appunto "maggioritari" in russo). Dopo la rivoluzione del febbraio 1917, questo nucleo di rivoluzionari professionali si staccò definitivamente dai menscevichi. Il Pcus mantenne la qualifica di bolscevico fino al 1952. (1917). Rivoluzione politica scoppiata in Russia nel febbraio-marzo 1917. Determinò la caduta del regime zarista e aprì la strada alla rivoluzione d'ottobre dello stesso anno. Dopo centinaia di migliaia di morti e una situazione economica interna disastrosa, a seguito dell'ennesima offensiva militare fallita fra le tante compiute nei tre anni della Prima guerra mondiale contro la Germania, a Pietrogrado lo scontento popolare sfociò in dure dimostrazioni contro il governo, nel corso delle quali interi reparti dell'esercito disertarono e passarono dalla parte dei rivoltosi. Questa situazione portò alla formazione di un Comitato esecutivo provvisorio e, pochi giorni dopo, all'abdicazione dello zar Nicola II, con la formazione del primo governo provvisorio, formato dai partiti moderati, sotto la guida del principe L'vov. Da lì prese il via un conflitto di potere, in particolare per il controllo sulle forze armate, tra il nuovo governo e i soviet degli operai e dei soldati di Pietrogrado, che con un decreto avevano deciso la costituzione di comitati elettivi nell'esercito. (Vladimir Il'iec Ul'janov, Simbirsk 1870 - Gor'kij 1924). Politico russo. Uno dei principali pensatori marxisti, fu il promotore e l'indiscusso leader della corrente bolscevica, l'animatore della rivoluzione d'ottobre e il fondatore dello stato sovietico. Formatosi negli ambienti rivoluzionari populisti, venne a contatto con il pensiero marxista frequentando i circoli operai e socialisti di Pietroburgo, entrando presto in polemica con le posizioni dei populisti e rompendo con essi (Che cosa sono gli "amici del popolo" e come lottano contro la socialdemocrazia, 1894). Confinato in Siberia nel 1897 e costretto all'esilio tre anni dopo, fondò a Monaco il giornale "Iskra" (Scintilla) come organo di battaglia politica e ideologica tra le correnti del Partito operaio socialdemocratico russo. Cominciò così una lunga opera di formazione ideologica: Lenin, schierato su posizioni di sinistra sia nella seconda Internazionale che nel proprio partito, si distingueva per la centralità assegnata all'azione dell'avanguardia politica. Questa doveva guidare le masse proletarie alla conquista del potere politico, anche attraverso forzature, criticando l'attendismo delle socialdemocrazie europee. La formazione dei quadri del partito, la necessità di un'analisi rigorosa della fase politica, l'importanza della rottura rivoluzionaria nella presa del potere politico costituivano i suoi punti cardinali di riferimento (Che fare?, 1902). Su queste posizioni egli condusse un'aspra battaglia interna al Partito socialdemocratico russo, dando vita dal 1903 alla frazione bolscevica. IL PARTITO AVANGUARDIA DELLA CLASSE. Prese forma in quegli anni l'idea leninista del partito come nuova avanguardia della classe operaia: esso doveva essere considerato l'espressione consapevole degli interessi del proletariato industriale e la direzione organizzata delle sue lotte politiche, composto da "rivoluzionari di professione" i cui rapporti erano regolati da una rigida disciplina che subordinava tutti i militanti alle decisioni della maggioranza e che avrebbe assunto il nome di "centralismo democratico". Rientrato in Russia in occasione della rivoluzione del 1905, fu nuovamente costretto all'esilio dal suo fallimento. La sconfitta dell'ipotesi democratica rinsaldò in Lenin la convinzione della necessità di una rottura politica violenta e del ruolo centrale del partito rivoluzionario. La modernizzazione della Russia per lui poteva avvenire solo a opera della classe operaia e della sua avanguardia politica. In questo quadro egli esaltava il ruolo della cultura teorica (cioè il ruolo demiurgico del partito) in contrapposizione sia all'"economicismo" marxista (secondo cui la forza politica deriva automaticamente da quella economica della classe operaia), sia allo "spontaneismo", cioè la subordinazione della lotta politica alla spontaneità delle lotte operaie. Sul piano internazionale Lenin condusse, negli anni precedenti lo scoppio della Prima guerra mondiale, un'aspra battaglia ideologica all'interno della seconda Internazionale, arrivando ad accusarla di tradimento di fronte alla dipendenza che i partiti socialisti europei mostrarono nei confronti dei loro governi allo scoppio della guerra. Contemporaneamente Lenin analizzò quella che considerava una nuova fase dello sviluppo capitalistico, culminante nella politica imperialistica delle grandi potenze e nella guerra. L'imperialismo, fase suprema del capitalismo (come egli lo definì nel 1916), determinava una situazione di progressiva concentrazione monopolistica della produzione, la crisi della libera concorrenza e il predominio del capitale finanziario. Ciò costituiva per Lenin un'ulteriore riprova della non riformabilità del sistema capitalistico, destinato a provocare continue crisi e conflitti, e avvalorava l'ipotesi della necessità di una forzatura politica rivoluzionaria. Il frutto di tutte queste elaborazioni teoriche apparve particolarmente efficace durante la rivoluzione russa del 1917. Lenin, rientrato dall'esilio ginevrino con un vagone ferroviario messogli a disposizione dalle autorità tedesche (e per nulla preoccupato del fatto che costoro, in questo modo, si riproponevano d'avvantaggiarsi militarmente nei confronti della Russia), organizzò e diresse l'insurrezione d'ottobre, imponendola al suo stesso partito. Resosi conto della debolezza dei governi provvisori, delle divisioni e dell'immobilismo di menscevichi e socialrivoluzionari, "costrinse" i bolscevichi (i cui dirigenti, nella quasi totalità, erano contrari all'insurrezione) a forzare militarmente la situazione per raccogliere il malcontento delle masse russe, in particolare di settori operai e dell'esercito che reclamavano la fine della guerra, portando al potere i comunisti che pure erano in minoranza sia nei soviet che nel paese. Attraverso la parola d'ordine dell'insurrezione, tutto il potere ai soviet, Lenin indicava sia una forma di democrazia politica più avanzata rispetto al regime parlamentare borghese, sia uno strumento politico di transizione dal capitalismo al comunismo. LA DITTATURA DEL PROLETARIATO. Assunta la guida del governo, delineò i tratti fondamentali del futuro stato sovietico rilanciando la marxiana dittatura del proletariato come strumento necessariamente coercitivo per attuare la trasformazione dell'apparato statale ereditato dal regime zarista (Stato e rivoluzione, 1917). Dopo aver fondato la terza Internazionale (o Comintern), negli ultimi anni della sua vita, già molto malato, si misurò con i limiti e le contraddizioni della sua stessa metodologia politica, aggravati e messi in risalto dall'isolamento internazionale e dalle difficoltà economiche dell'Urss. Da un lato creò così i presupposti per l'autoritarismo staliniano e la centralità dell'apparato del partito e, dall'altro, venne emarginato da Stalin che approfittò della malattia (emiplegia) che lo aveva colpito nel 1923 per isolarlo dal resto del partito. Il suo testamento politico, in cui criticava Stalin e metteva in guardia il partito dai pericoli della burocrazia e dell'autoritarismo dell'apparato, non venne reso noto per molti anni. Mentre Lenin diventava da morto un elemento di stabilità del regime attraverso una santificazione che egli stesso non avrebbe voluto, Stalin, nel suo nome, procedeva alla progressiva trasformazione in senso autocratico del partito. Il centro del pensiero di Lenin, e l'eredità più rilevante che egli lasciò al movimento comunista internazionale, fu l'indissolubile nesso tra economia e politica: la politica concentrava in sé tutte le tendenze economiche e, contemporaneamente, doveva controllare l'economia. Inoltre egli elaborò un'interpretazione del marxismo che, da un lato, ne accentuò le valenze di sociologia scientifica (in base a questa lettura Il capitale diventava l'opera fondamentale di Marx) e, dall'altro, ne esaltò la portata filosofica assumendolo come modello interpretativo nuovo e autosufficiente. G. Polo Enciclopedia termini lemmi con iniziale a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Storia Antica dizionario lemmi a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Dizionario di Storia Moderna e Contemporanea a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w y z Lemmi Storia Antica Lemmi Storia Moderna e Contemporanea Dizionario Egizio Dizionario di storia antica e medievale Prima Seconda Terza Parte Storia Antica e Medievale Storia Moderna e Contemporanea Dizionario di matematica iniziale: a b c d e f g i k l m n o p q r s t u v z Dizionario faunistico df1 df2 df3 df4 df5 df6 df7 df8 df9 Dizionario di botanica a b c d e f g h i l m n o p q r s t u v z |
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